Molti sicuramente sono a conoscenza che la data del 25 dicembre come ricorrenza del Natale cristiano venne stabilita dalla Chiesa nel 376 come ragionata operazione di sincretismo a sovrapposizione e sostituzione delle precedenti feste legate al culto del sole di molte culture precristiane.
Forse invece non tutti sanno che che l'Epifania, la cui celebrazione cade il 6 gennaio: data del battesimo di Gesù (e quindi dei doni portati dai Magi d'oriente), quando venne introdotta in Occidente dalla tradizione della Chiesa orientale, si sovrappose anch'essa a precedenti feste pagane creando così la figura della Befana.
Tale figura è sicuramente assimilabile allo stereotipo comune della strega, ma la sua caratterizzazione è ambigua, a cavallo tra bene e male, tra cristianizzazione e paganesimo.
Benevola dispensatrice di doni, ma anche figura inquietante legata a miti pagani e magici.
In alcune zone del Veneto, per esempio, la sua figura è sovrapponibile a quello della Marantega (mare antiga = madre antica), e secondo alcuni rappresenta Reitia, la dea della Terra a conclusione del ciclo delle stagioni, ormai vecchia e per questo destinata ad un falò rigenerante in seguito al quale avverrà la sua rinascita tornando, con il sopraggiungere della primavera, ad essere giovane e bella. Tradizioni simili si ritrovano anche in alcune località piemontesi (Colloro, Premosello, ecc).
L'affinità storica e liturgica del Natale e dell'Epifania derivanti da un'unica festa solstiziale diversificata solo dalle differenti provenienze (il primo dalla chiesa occidentale, la seconda da quella orientale) è comunque innegabile e nella tradizione popolare questa unità si avverte nel continuum celebrativo e rituale delle cosidette “feste natalizie”.
Oltre al classico denominatore comune dei doni dispensati in entrambi i giorni suddetti (con più o meno rilevanza a seconda delle zone) molti altri sono i fattori leganti.
La tradizione piemontese del ceppo di Natale (precedente sia al presepe che all'albero) prevedeva che tale ceppo (il such) venisse acceso dal patriarca di casa a Natale e mantenuto vivo fino all'Epifania, bruciandovi resti di cibo e foglie di alloro per trarne presagi di fortuna e, nella successiva cristianizzazione del rito, versandovi anche del vino rosso in ricordo del sangue di Cristo.
Tra le varie credenze un tempo diffuse in Piemonte in tale periodo, una delle più antiche riguarda il mito degli animali parlanti. Essi parlerebbero tra di loro nelle notti sante della vigilia di Natale o dell'Epifania (a seconda delle zone) e terribili sarebbero le conseguenze del curioso che cercasse di ascoltarli.
Anche le tradizioni gastronomiche caratterizzavano tali festività: dall'abbuffata di agnolotti alle salsicce di Natale, dalla frutta secca e ai mandarini che si “trovavano” nella calza della Befana ai dolci tipo il “pan 'd Natal”; riminiscenze di riti antichi e di feste pagane in contrasto con le direttive della Chiesa ad una “consigliata” morigeratezza per il periodo sacro, certo, comunque, nulla di paragonabile alle sbornie consumistiche dei giorni nostri.